Di Starbucks a Milano.

 

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A volte Milano regala scorci da romanzo dell’Ottocento. Avete presente Emile Zola e il Paradiso delle Signore? Così mi è parsa l’apertura della Rostery di Starbucks a Milano in una bauscia da bar delle Foliès Bergère quasi fosse un’inaugurazione di un’esposizione universale o l’invenzione di una mongolfiera. E in effetti tale è.

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La Milano di chi ci abita come al solito si diverte per le curiosità nuove e d’altro canto implora un restate umani. Caffè a Milano? L’antropologia cittadina da Martini e Campari suggerisce che forse ce n’è da lavorare. Anche se è passata l’empasse antropologica dell’avversione presunta della capsula coffee to go  degli Italiani. Cosa vuoi che sia di fronte a Starbucks in Cina?

Poi ci sarebbe anche il discorso delle 150 caffetterie a basso fatturato che chiuderanno nel 2019 dopo la chiusura di Tea Bar Tavana di qualche anno fa.

Nella grande arena della metropolitana, i tutti eleganti e vestiti bene anche con le ciabatte ai piedi mica poi ne parlano più di tanto di Starbucks e Milano da cui mancavo solo da qualche mese sembra aver smesso di correre o aspetta solo la velocità di crociera dell’autunno mentre quelli in giacca e cravatta intorno a piazza Duomo la pausa pranzo sembra vengano a farla a Piazza Liberty con le schiscette perché tra le cotolette di Cracco, la terrazza Campari e i bubble tea dei chioschi, di cibo vero sembra essercene poco.

Tanto poi Starbucks i clienti li trova sempre, come ad Atene dove questa estate al tempo dell’austerity ho scoperto che potevi mangiare una spanakopita da street food per 80-90 centesimi ma il Frappuccino ne costa sempre 4,50 euro e la folla c’è lo stesso, sono stranieri, il lusso non conosce crisi, dicono. Se i residenti mangiano brioches le pagnotte le mangerà qualcun altro.

Per gli stranieri il caffè italiano è spesso un pugno allo stomaco, troppo corto e troppo forte: chi lo lascia in tazzina, chi lo allunga con l’acqua, ne ho viste di cose.

Eppure andiamo ai fatti: l’Italia non è in cima alla classifica per consumo procapite di caffè, ecco i dati. Ma il Mc Donald dei caffè dei ricchi potrebbe regalare alle tazzine un fatturato che prima era assente.

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Consumo annuale di caffè procapite in un anno

La location di Starbucks è intrigante ed esplicita, piazza Cordusio, di fianco al Palazzo delle Assicurazioni Generali.

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Il nesso? Qui è tutta finanza e il denominatore comune è JPMorgan Chase e un mercato finanziario quello dell’Oro marrone che fa gola. Pensate che è il secondo per fatturato a livello mondiale dopo il petrolio (in discesa) ed è così vasto che la Miscela Arabica viene quotata a New York mentre la Robusta a Londra.

La diatriba su quale sia la miscela migliore Arabica senza crema diffusa più al nord o la Robusta tipicamente napoletana…tanto che un disciplinare non esiste, abbiamo 25 standard di espresso italiano e non c’è cultura sui monorigine, tutto è una miscela tagliata di Brasile, Kenya eccetera eccetera. E cosa strana, il caffè ancora non ha l’obligo di provenienza sulle etichette.

Riuscirà Starbucks a mettere mano a questo popolo choosy e indisciplinato?

Per me tanti gli spunti:

  • Starbucks prevede un cambio di hardware, non solo moka ed espresso. Riusciremo a familiarizzare con una caffetteria di ricerca che propone caffè con filtro all’americana, reagirà il grande business degli store Bialetti?

 

  • Ma soprattutto riuscirà Starbucks e le nuove aperture in tutta Italia a ridurre le partite iva un po’ selvagge e avventuriere di bar che aprono e chiudono tutti uguali con i finanziamenti e aperture a zero euro che rientrano nelle spese con percentuali sul venduto?

 

  • Il mito delle cialde: riusciremo a gettare nell’oblio questo mercato? Che poi, conoscete il ciclo di vita del caffè? (Il caffè verde può mantenersi per 3 anni, la tostatura per 18 mesi, il macinato per altri 18 mesi e quello che prima ne restava veniva gettato via e ora è lì nei distributori automatici e nelle cialde).

 

  • Riusciranno sifox, french press, dripper e altri ‘hardware’ esterofili per fare il caffé a fare breccia nel mercato? (Da qui nuovi utensili da cucina, libri e trasmissioni).

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  • Faremo caso alle caffetterie di ricerca, l’attenzione ai monorigine, diventeremo sommeliers del caffè e l’editoria dei gastrofissati stamperà anche guide ai cultori del caffè in Italia e l’indistria immateriale dei corsi di formazione farà il suo corso?

Libero arbitrio in libero mercato. In 5/6 anni i punti vendita dovrebbero aggirarsi su 200 punti vendita in Italia con ricadute sul mercato del lavoro. E dopo Milano presto, si parlerà anche di Roma (piazza di Spagna e Stazione Termini).

Quanto alla Reserve Roastery non è uno Starbucks qualunque, di simili ce n’è solo a Seattle e Shanghai. Entrare da Starbucks a Milano è qualcosa di strano. Linee con vassoi per ordinare pizza in teglia (sui 7,50 euro), area per le torte, piano rialzato per l’aperitivo e il mixology. E poi anche caffè, già, sotto il naso spiccano i monorigine dal Brasile e dall’Etiopia, quell’Etiopia che dichiarò guerra a Starbucks per i prezzi in difesa dei produttori e per poi finire con un accordo tra le parti.

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Di caffè la Roastery ne ha 115 bevande il che mi ricorda l’esperimento delle marmellate di Sheena Iyegar noto come il “Paradosso della Scelta” dove il consumatore, di fronte a più e più varietà finisce per non comprare nulla o meno di quanto ci si aspetta.

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Ma chissà che no si muova una certa onda d’urto di scoperta. Non ricordo tanta folla al padiglione caffè di Milano Expo dove per la prima volta assaggiai il caffè yemenita, la prima bevanda di caffè al mondo che assaggiò anche Papa Clemente VIII nel Cinquecento. Oggi con la guerra civile in Yemen e un paese diviso più della Libia poco se ne trova di questo caffè.algerian-coffee-stores

Caffetterie di ricerca? Provate i piccoli cultori. A Londra c’è Algerian Coffeee che è  lì dal 1887 oppure scoprite i paesi produttori, in Vietnam (secondo produttore di caffè al mondo dopo il Brasile) gli shop dei quartieri occidentali di Hanoi regalano chicchi e per pochi euro potete comprare pacchi interi di Jamaica Blue Mountain, il caffè invecchiato in botti di rovere o per gli audaci e non veg il Kopi Luwak ricavato dagli escrementi dello zibetto.

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In Italia ho un qualche Mecca del caffè: vi consiglio due caffetterie di ricerca a mezza strada, a Bologna, il Caffè Terzi dove adoro il monorigine del Kenya dai sentori floreali e per una ricerca sugli hardware del caffè oltre la Moka c’è Le petit Café.

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Esiste anche una scuola di caffetteria in quel di Bologna che insegna a preparare il caffè da bar, il latte art e anche la teoria dalla piantaggione ai mono origine da Starbucks a tutto il business che c’è dietro, il CEO è Alessandro Romoli e la sua factory è davvero unica nel suo genere, si chiama Accademia del bar.

Vediamo di Starbucks cosa sarà e chissà che un giorno non ci ritroveremo pure i polli fritti di  KFC nel segno della globalizzazione.

Ed è tutto da vedere come reagiranno i nostri Illy, Lavazza & Co.

 

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