Childfree, childless e persone senza figli. Un po’ di chiarezza in questo trend che cresce.

31,8 anni è l’età media in cui la donna italiana arriva alla tappa del primo figlio, 1,26 la media di figli per donna delle italiane, 1,97 per le straniere con una media di 1,34. Così dicono i dati Istat. Siamo i genitori più anziani d’Europa. Guardatevi un po’ intono e vedete quante madri 31enni vedete. Fatto sta che siamo il popolo europeo che arriva (se ci arriva) più tardi al primo figlio e ho cominciato a farmi qualche domanda sui millennials che figli non ne hanno.

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Ci sono due parole chiavi di cui prossimamente sentiremo sempre più parlare Childless (chi non può avere figli per problemi di sterilità) e Childfree, ovvero chi sceglie volutamente di non volere figli, una scelta consapevole dettata da un bisogno di altre esigenze nella vita.

Prima di scrivere questo post mi sono confrontata con due letture: Childfree and Loving It di Nicki Defago e Single Senza Figli. Chi è la tua famiglia? di Bella DePaulo.

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Entrambi si focalizzano sulla realtà americana, specialmente nel pensiero della DePaulo  il focus è sul pensiero che superi la famiglia nucleare e allargamento a network parentali. Una persona senza figli è più aperta al vivere sociale, al fare volontariato, all’abbracciare il cohousing senza tralasciare ottiche gender. Allo stesso modo Nicki Defago parla di un mondo senza figli tutt’altro che negativo anche se si arriva a sondare un target di popolazione che ha meno incentivi sul lavoro e meno sussidi sulle assicurazioni sanitarie perché le famiglie classicamente intese sono il nocciolo duro del welfare e questo potrebbe essere un problema per la fascia di anziani a rischio povertà e deprivazione.

La realtà americana è molto più avanzata della nostra su questo tipo di argomenti e di certo non sta lì ad additare come stigma sociale coppie senza figli.

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Anzi, anche in Europa guardatevi intorno, nel centro di Amsterdam scoprirete ad esempio che molti padroni di casa fittano solo ai DINK (double income, no kids ovvero due stipendi e nessun figlio). E poi gli acronimi si moltiplicano come nella realtà gender, ci sono i THINKERS (Two Healthy Incomes, No Kids, Early Retirement, su di loro non c’è molta bibliografia, se ho capito si tratta di baby pensionati con una buona pensione e senza figli che hanno così un orologio biologico ancora in gradi di regalare soddisfazioni a livello consumistico) oppure i GINK (green implication no kids) che vedono la scelta di non avere figli come una riduzione di Co2 o una nota positiva nel non aumentare ulteriormente la popolazione.

In Italia il lato da bicchiere mezzo pieno e godereccio sembra presto dimenticato. Di gruppi Childfree e pagine like Facebook ne è pieno. Contenuti? Al primo sguardo parecchi haters di bambini che strillano in cerca di ristoranti childfree, persone stufe di sentirsi additate perché senza figli o vittime di colleghi sul lavoro nascosti dietro gli alibi di figli e congedi. Libertà di espressione? Forma di omofobia? Lobbying di un target ignorato? A me sembra un conflitto dato da deprivazione relativa.

Questo come fenomeno di costume fino a scelte più radicali, si parla anche di sterilizzazione volontaria. A richiedere la salpingectomia bilaterale volontaria, cioè l’asportazione delle tube, sono le childfree nullipare, donne che non hanno mai partorito, che stanno diventando un fenomeno di studio tra i trend dei millennials insieme ai giovani uomini che scelgono la vasectomia.

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L’articolo 22 della legge 194, la stessa che consente l’aborto, ha depenalizzato la sterilizzazione volontaria, che fino al 1978 era reato punibile con la reclusione da 6 mesi a 2 anni. Resta l’obiezione di coscienza dei medici e i colloqui psicologici medico – paziente che decidono l’eventualità di un intervento, irreversibile, ma non se si dovesse poi ricorrere a una fecondazione assistita.

Ma essere childfree in Italia ha uno spettro più ampio dell’essere consapevoli fino alla sterilizzazione. Non sembra anche a voi? E’ dovuto, forse, come vuole il principio classico della demografia al fatto che una migliore istruzione e una permanenza maggiore tra i libri a far decrescere il numero di figli e a innalzare l’età della genitorialità? Nemmeno perché gli italiani tra i 25 e i 64 anni con una laurea sono meno del 20%.

Ci sono childfree che dicono che non avere figli è un mood, che childfree si nasce, un po’ come l’essere omosessuali, è qualcosa di biologico in cui non si sente l’istinto alla maternità o alla paternità. Può darsi.

Ma molto più semplicemente è anche una linea vitale che non riesce a fluire. Se intervistiamo tutti i senza figli (e ci sono pochi studi e pochi dati), qual è la forbice tra i non figli avuti e quelli che avrebbero voluto avere?

Io trentenne senza figli cosa vedo intorno? Un mondo che va veloce dove è difficile programmare un destino occupazionale, figurarsi due di una coppia. E allora le coppie dovrebbero abituarsi ad essere globali, a vivere in case separate, città diverse se non stati e continenti diversi con annessi fusi orari (e so che esistono). Ma un unione oggi durerebbe in eterno? O con un divorzio dovrei sobbarcarmi anche un figlio da solo e la paura di altri uomini di innamorarsi di me e farsene carico?

Poi ci sono i nonni: mia madre ha 37 anni più di me, non 22 di differenza come quelli che aveva mia nonna quando lei è nata. E mia nonna ne aveva 60 quando sono nata io ed è stata una babysitter perfetta quando mamma era al lavoro. Se avessi un figlio ora mia mamma ne avrebbe molti di più e quell’irrascibilità da boom economico, non so.

Nonni. Ho visto madri monogenitoriali tornare dall’estero e lasciare il proprio lavoro perché se sei fuorisede senza genitori è difficile conciliare le cose. Ho visto nonni vendere case in città di provincia e emigrare in altre città, spesso lasciando il sud per il nord, per stare vicino a figli che hanno lavoro altrove per vedere crescere i nipoti.

E’ poi c’è il mood. Se sei figlio unico, se vivi in una famiglia che invecchia, con molti zii non sposati e senza figli e pochi cugini nati dopo di te, come te la caveresti con un bambino in braccio a trent’anni se non ci hai mai avuto a che fare?

Queste sono le aspettative, le aspettative, quelle che nei libri macroeconomici influenzano l’economia. L’economia che non è matematica, è tutta psicologica e che frega.

Risolverebbe qualcosa un’entrata economica (leggi bonus bebé, leggi redditi vari).

Con un amico che lavora nell’Esercito di 36 anni al discorso famiglia e figli mi ha sempre detto che avere uno stipendio fisso e una mansione, quella di soldato facilmente inquadrabile in un range salariale (che puoi scoprire su Google o YahooAnswers), non solo non lo tranquillizza, gli fa l’effetto opposto perché stanco di essere circondato da presunte fidanzate innamorate che si calcolano il budget della loro vita sul suo salario fisso, sul suo posto sicuro. E allora single a vita a comprare scarpe Adidas tutte le volte che voleva e dare una mano alla pensione dei genitori.

Una volta poi ho conosciuto, in coda alla segreteria dell’università, un ragazzo che di anni ne aveva 28, si iscriveva a Scienze Politiche per avere un gettone in più al lavoro. Passato da assicuratore, presente da lavoro a tempo indeterminato in Regione a 1000 euro. Ha una figlia di due anni e un divorzio. E’ tornato a vivere dai genitori e sono loro che gli pagano l’assegno di mantenimento. Ma dice che almeno sua figlia è stata la cosa più bella che ha fatto in vita sua.

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Ho visto un film stupidissimo e fatto male ma con un soggetto che fa riflettere, si chiama Idiocracy e la regia l’avrei affidata ad Andrew Niccol. Parla di una realtà distopica in cui il mondo della gente laureata fa sempre meno figli mentre quelli con un quoziente intellettivo basso sono gli unici a figliare in un mondo con sempre meno competenze e alla rovina. Di film ve ne consiglio un altro che vi posso fare da test psicologico: due ragazzi orfani e laureati, lui un vulcanologo da 110 e lode impiegato in un call center e una fidanzata alle prese con lavoretti precari. Fanno il test di gravidanza e scoprono di aspettare un figlio, voi come reagireste? E’ questo il finale aperto del film Fuga dal Call Center (2008).

Ma quindi mi chiedo se a #Childfree, il godereccio senza figli all’americana non vada aggiunto qualcos’altro, un senza figli non per scelta ma per necessità, un sentore di deprivazione materiale, un indicatore di povertà. Quanti oggi se si scoprissero in attesa di un bambino ricorrerebbero all’aborto?

Guardo quelli che furono i miei colleghi universitari in Erasmus in Italia, Davina, francese con origini del Madacascar di figli ne ha già due, uno è alle elementari e un altro mio collega che vive ad Helsinki mi fa scoprire quanto mi sono persa di quella sua vita da papà hipster, dove non rinuncia ai tatuaggi, ai viaggi, etc.

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Perché il trucco è che forse non sono i soldi o la rete parentale che ti faccia da babysitter.

Manca quella cultura friendly che crei asili nelle università, nelle aziende, nella pubblica amministrazione. Mancano le scuole 24h che diano la possibilità a genitori con lavori che non siano solo in orario da ufficio di avere un figlio, perché mi sembra che qui, solo quella presunta classe dominante che va a lavorare alle 8.30 e torna alle 14.00 a tarare una vita con un figlio. Male, perché la scuola dovrebbe essere inclusiva, fino ad una modalità da personal trainer dove sei tu a poter scegliere gli orari.

Io credo che se a 30 anni avessi un figlio, negli anni, quel gap di 30 anni di distanza sarebbe tanto, perderebbe di competitività sul mercato del lavoro, perché se invecchi gli insegni una cultura conservatrice. Perderò l’ebrezza del passeggino ultraleggero in policarbonato, non imparerò quanti secondi ci vogliono a scaldare un biberon al micronde o a come allacciare la fascia africana al posto del passeggino. Pazienza.

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Impareremo forse come la Cina dei Millennials Buddha Like  a una cultura less is more, meno attaccata ai beni materiali, più consapevole dell’accettazione del fallimento e meno stressata dalla pressione sociale delle aspettative.

Piaccia o meno, è un trend quello dei childfree che crescerà e a cui ci si deve adattare. Dovranno cambiare i connotati dei consumi, specie il modo di abitare. La rendite e la casa di proprietà deve tramutarsi in qualcosa di più sociale dal cohousing alle cooperative, dall’usufrutto alle assicurazioni ad hoc, per esempio. Così, quando magari smetteremo di pensare ai pargoli Windsord o a Ferragni-Fedez che non sono quello che siamo.

 

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12 commenti

  1. Concordo su quasi tutto, ma rimango basita sul paragrafetto secondo cui senza cugini più piccoli eccetera, trovarsi con un bambino a 30 anni sarebbe sicuro sintomo di fallimento e inadeguatezza. Mi sfugge davvero il senso.

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    • Mio personalissimo punto di vista in merito, ma dei miei amici europei all’estero, molti hanno avuto figli a 23-25, sarei sola perché mentre io penso alla prima gravidanza loro sono già alle prese con le elementari. Poi in un ottica europea/globale ad essere i genitori più anziani in circolazione trasmetti ai figli un ché di conservatore e meno dinamico, non so come dirti, ma mi è capitato di avere fidanzati con genitori di 10 anni più giovani dei miei e si che qualcosa la cambia.

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      • Allora probabilmente non è stato trasmesso bene il senso di quello che intendessi: traspare il pensiero che dal punto di vista pratico non si riesca a occuparsi di un neonato per pura mancanza di modelli o esempi nelle vicinanze. 😌 Lo trovo un pensiero limitante, ma probabilmente ho interpretato male io la frase!

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      • Riguardo i genitori vecchi = conservatori fino a qualche decennio fa ti avrei dato ragione, è l’esempio sulla generazione che ci ha precedute mi trova concorde. Ma al giorno d’oggi non penso sia cosi abissale la differenza, anzi. I 30 anni nostri non sono i 30 anni dei nostri genitori, non penso che le nostre esperienze e la liberta di cui godiamo possa essere abbattuta per una mera questione anagrafica. Non penso proprio tu possa essere una madre conservatrice a quasi 30 anni rispetto a una ragazza di 10 anni di meno. La mera questione di numeri, secondo me, al giorno d’oggi non è sufficiente per bollare un genitore come libertario o meno… anzi, direi il contrario. Fare un figlio in Italia a 20 al 90% ti impedirà di vivere e fare esperienze che a 30 puoi aver fatto è che, sempre al 90% dei casi, ti rende una persona mentalmente più elastica.

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  2. C’è del vero, che mancano esempi nelle vicinanze. Nei libri di demografia si dice che sono più propensi a fare figli chi è circondato da altri bambini. Se accendi la tv ne vedi? Vedi città childfriendly? Capita che chi fa figli si sente solo, quanti paraventi per allattare nei luoghi pubblici vedi?

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    • Nessuno, ma la vedo una considerazione un po’ limitante. Non so se questo pensiero sia dovuto a qualche meccanismo psicologico nelle masse, ma a livello di singoli non osservo incentivi o disincentivi nel fare figli in base alla presenza di bambini in famiglia o nello stesso condominio. Questo ho capito dal post. Se poi intendi che l’ambiente e le città disincentivano certo, ovvio che sia cosí. Ma pare che la scelta personale sia dettata dalla presenza fisica di figli altrui. Avró capito male.

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      • L’Europa è tutto un mondo strano e residuale da studiare. Ma quando mi sono occupata di grandi numeri di Asia e Africa funziona così,se hai fratelli con figli, cugini e nipoti intorno sei più incline a fare figli anche perché sei cresciuto in mezzo a bambini…qui tra le tante pressioni sociali quella di avere un figlio sta diventando secondario se non marginale. Basta osservarsi intorno o sentire i contenuti del mainstream

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  3. Poi gli studi sociologici sono sempre interessanti… sull’Italia credo si potrebbe scrivere un’intera enciclopedia!!! 😌 Dalla mancanza di servizi per l’infanzia al pessimo sistema educativo genitoriali tendente al permessimismo più assoluto… ma questa è un’altra storia 😵😁

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  4. Con il declino del welfare state,nell’ultimo ventennio rinominato e riorganizzato sotto il nome di welfare mix ( per l’utilizzo di più fronti a cui attingere per sopperire ai bisogni della popolazione), in italia, come nelle nazione del sud europa, specie nell’ultimo decennio, si sta ridiffondendo l’idea di un welfare familistico tipico delle società preindustriali, basato cioè sul ritorno delle famiglie ” tradizionali” al centro della gestione e dell’erogazione
    di determinati servizi di supporto alla società ( in Italia è una pratica che si sta diffondendo da minimo 6 anni con progetti in continua espansione in particolare dal Piemonte) con la riduzione volontaria dell’intervento dello stato. .Famiglia intensa quindi come un nucleo più ampio, che comprende un espansione verticale( riqualificazione della figura dei nonni) tipica degli anni 50 ( vedi le famiglie mezzadrili) e non quindi obbligatoriamente orizzontale .
    La “Rielaborazione” o meglio l’eliminazione del welfare statale di supporto alla famiglia col taglio ai numerosi servizi come ad esempio, gli asili pubblici, doposcuola, diminuzione degli assegni familiari ecc ecc, a cui va aggiunta una precarizzazione del lavoro accompagnata da una crisi senza precedenti causata dall’ennesima implosione del capitalismo, arrivato ancora ad una volta ad una situazione di declino,risolta in
    passato come sappiamo con lo scoppio di ben due guerre mondiali e la creazione di un terreno fertile in cui riespadersi, hanno di certo favorito il diffondersi di uno scetticismo tra le fasce 20/30 sulla possibilità di “metter su famiglia” .
    Le incertezze trasformatesi ormai in routine portano volente o nolente a rivalutare il desiderio di genitorialità, specie se supportate da quelle trasformazioni che prima ho elencato ( poco supporto statale ed assenza di lavoro).
    Quindi più che la mancanza di una cultura “family friendly”, c’è una netta volontà di gestire, attraverso il taglio ai servizi l’ennesima crisi economica del capitalismo, attraverso la riduzione della spesa pubblica o l’aumento delle tasse su consumi ( la storia sfortunatamente si ripete).
    Vorrei far notare che la crisi del welfare non è iniziata con la crisi dell’ultimo decennio, ma trova le sue radici già nella crisi petrolifera degli anni 70 ed l’inizio della trasformazione all’attuale welfare col primo governo Margaret Thatcher degli anni 80.
    In Italia il ritardo nel passaggio ad un welfare non piu statale di ben 20 anni è frutto nel bene e nel male
    di una gestione dell’economia che ha potuto far leva sull’inflazionismo come manovra di rinvio del tagli alla spesa pubblica.
    Quindi in sintesi sono d’accordo con te sull’influenza del fattore incertezza economica sulla scelta del non volere figli, a cui però va aggiunto ( forse un’altro aspetto), l’espandersi del pensiero individualista nelle generazione nate dagli anni 80\90 in poi che comunque va inesorabilmente a scontrarsi con le problematiche economiche fin ora elencate, creando un corto circuito emotivo . Siamo stat* abituati fin da bambin* a dover eccellere singolarmente ed individualmente a discapito di tutta una serie di obbiettivi ritenuti secondari.
    In sintensi siamo una generazione isolata, dal futuro maggiormente incerto, impossibilitati a costruirne uno poiché fonderebbe le proprie radici su un terreno che potrebbe sgretolarsi in qualsiasi momento sotto i nostri passi ,fragile come un castello di sabbia.

    ps ( chiedo scusa per l’eccessiva lunghezza del post)

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    • Ciao Serena, grazie per il tuo contributo e le tue riflessioni sul welfare, io mi giocherei un po’ di sharing economy e vedere se dall’individualismo possiamo salvarci anche perché alla lunga vista l’incertezza economica non so se regge. Poi dipende se ci sarà civicness o soluzioni tipo assicurazioni private.

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      • Figurati. Non credo nella privatizzazione dei servizi specie se parliamo di sicurezza sociale ne dell’affiancamento di questi ultimi, al contrario credo che i servizi alla persona debbano esser gestiti interamente dallo stato per evitare dinamiche sorte in seno al concetto di concorrenzialità aziendale. L’individualismo deve esser combattuto ma dobbiamo cerca di :
        1 evitare che questa lotta diventi strumentale per far si che si continui a giustificare l’assenza dello stato dalle politiche sociali in nome di una solidarietà meccanica non piu attuabile. ( una famiglia per una famiglia in caso di supporto)
        2 eliminare il concetto di stato\ azienda ed il conseguente concetto di pareggio di bilancio specie quando parliamo di sanità e servizi alla persona .
        il senso civico va certamente sviluppato aumentando in maniera piu ampia il concetto di solidarietà collettiva e trasformando l’idea stessa di sviluppo social\economica in senso piu anti capitalista ( potremmo dire socialista?) Con un ritorno dello stato nella gestione dei servizi alla persona che non possono e non devono esser vittima di una logica concorrenziale aziendale, specie quando si parla di servizi alla salute nonchè di supporto alla vita cittadina dalla culla alla tomba.

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  5. Ho superato i trent’anni e non ho mai avuto il desiderio di figliare. Purtroppo, sia in Italia che all’estero (ma soprattutto in Italia), ho subito molte discriminazioni, insulti e anche veri e propri rimproveri sul fatto che non volessi procreare. Sono convinto che molte persone facciano figl* senza neanche porsi il problema, perché danno per scontato che ad una certa età bisogna farlo. A prescindere dalla situazione economica globale, in cui anch’io mi ci sono trovato insabbiato, non vorrei mai e poi mai diventare genitore. Quante persone mi dicono: “è una fase, cambierai idea, non essere chiuso, ha la mentalità troppo ristretta”. Di solito faccio notare che se avessi detto che ne volevo, loro non mi avrebbero mai risposto che “avrei cambiato idea”… e di solito è motivo di arrabbiatura da parte di questi “amorevoli genitori che evitano l’estinzione della razza umana”.

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