L’Italia comincia a Lampedusa. Qui con Amnesty International

L'isola vista dall'alto (ovest-nordovest)

Trentacinquesimo parallelo.

Quando a Lampedusa soffia vento di Scirocco è un momento propenso per l’arrivo delle barche dei migranti,il vento li spinge verso la costa,  ma anche le meduse si avvicinano alla costa con lo Scirocco.

E’ la prima lezione che insegna Lampedusa se sei a digiuno di miglia marine e leggi della nautica.

Se c’è vento di Maestrale il mare è grosso, non si arriva nemmeno all’isola di Linosa come turisti e in tempo di covid, le navi quarantena prendono a muoversi come pinne di squalo in mare, ad una certa distanza, per non causare mal di mare ai migranti,senza meta perché con il covid non ci sono porti sicuri per attraccare. Il rischio psicologico è alto, se qualcuno si lanciasse in mare morirebbe nell’impatto, troppo alto cadere da una mezza nave da crociera. Troppo difficili i soccorsi in mare da una grande nave in movimento.

La nave quarantena

Lampedusa è uno strano limbo. Al suo orizzonte il nulla, solo mare senza strisce di terra in lontananza. 205 km dalle coste della Sicilia, 113 km dalla Tunisia, Africa, 150 km da Malta. Questo rende tutto relativo, distanze, vicinanze, identità, anche se, nel trafficato e striminzito aeroporto cittadino tra il porto e il cimitero, Roma è a 90 minuti da qui. È l’unico comune italiano su cui non grava l’onere di accogliere richiedenti asilo, l’espiazione dell’hotspot, come centro di transito è sufficiente, con un prezzo alto.

Cartina geografica di Lampedusa

A Lampedusa non c’è acqua potabile, si desalinizza quella del mare, non c’è la raccolta differenziata della carta e nemmeno una sala parto: c’è un buon 118, un poliambulatorio e la guardia medica, ma per partorire, i bambini lampedusani nascono a Palermo e tra viaggi e alloggio una nascita può costare 3.000 euro in più – lo segnala il parroco Don Carmelo La Magra –  a Lampedusa nascono 70 bambini all’anno su una popolazione di poco più di 6.000 abitanti, un’isola giovane con l’età media di 35 anni che sui giovani investe come risorsa: sono tre le scuole superiori, c’è il liceo scientifico, l’alberghiero e il turistico. Nell’autunno 2020, il sindaco Salvatore Martello inaugura anche il primo asilo nido dell’isola, per 25 bambini. E’ il colmare un gap lungo secoli, il primo nido italiano risale al 1850.

Grafico Popolazione per età e sesso Comune di Lampedusa e Linosa (AG)
Andamento popolazione Comune di Lampedusa e Linosa (AG)

Ma a Lampedusa si muore anche di tumore e per le chemio bisogna andare al Nord, lontano dai grandi echi mediatici, da vent’anni i tumori crescono in modo anomalo, secondi solo alla densità nell’area metropolitana di Catania, lo fa notare il collettivo Askavuza. Colpa dell’inquinamento elettromagnetico di radar militari e antenne – un campo elettromagnetico affollato che lascia alle normali linee di telefonia solo una o due tacche – sono apparati per la sorveglianza del mare e dei servizi di telecomunicazione, lo denuncia anche Legambiente oltre a sorvegliare il patrimonio naturale dell’isola posto sotto tutela per il suo paesaggio singolare, meta di uccelli migratori, fauna nordafricana mista a steppa, le tartarughe caretta caretta. E anche questa l’eredità di una crescente militarizzazione del Mediterraneo Centrale da Mare Nostrum a Frontex. Ma anche di una presenza più remota, quella della ex base Loran della Nato, un avamposto NATO che era qui dagli anni ’50, nel 1986 protagonista anche dello scontro missilistico su Lampedusa da parte di Gheddafi di cui oggi rimane una scogliera crollata a Capo Ponente.

A Lampedusa a volte le testate giornalistiche nemmeno consegnano i giornali cartacei, quelli che strumentalizzano l’isola,  troppo dispendioso trasportarli fin qui.

Bisogna mettere in conto tutto questo se si viene a vivere a Lampedusa, una sorta di missione.

Un’ isola che vive 12 mesi l’anno, non solo di turismo ma di pesca, pascolo di capre che con le loro campanelle lambiscono le alture dell’isola da cui si produce formaggio e vita comunitaria che si rafforza nei mesi invernali, anche se qui a dicembre il clima è ancora mite.

Come capire la complessità di questo fazzoletto di terra fatto di abitanti e migranti imbastito tra ideologie da passerella e fake news a colpi di tweet sotto un fuoco mediatico di immagini che, una volta qui sembrano astratte: inaccessibile l’hotspot militarizzato, invisibili ai più i migranti. La Lampedusa mediatica ad occhio nudo quasi non esiste, se non per fruscii e bisbigli nella centrale Via Roma o in qualche barca dal nome scritto in arabo che lascia intendere una traccia. Pensare che un’ operazione di salvataggio con un trasbordo di 100-200 persone può durare anche 12 ore e quello che più ricordano i soccorritori sono gli odori: salsedine, vomito, benzina e sangue misto insieme.

 

Ho scelto Amnesty International per creare una mappa di riflessione su questo mondo, un luogo protetto oltre il fragore dei telegiornali. Amnesty ogni anno organizza qui con il programma Summer Lab un campo estivo residenziale di attivazione per i diritti umani per affrontare temi come la comprensione del soccorso in mare, il diritto di asilo, riflessioni sulle migrazioni e testimonianze dall’isola e dal mondo delle ONG e fa da contenitore alle realtà satellite di questi temi in quanto Amnesty non è un organizzazione umanitaria ma si occupa di diritto e documentazione: i punti di forza sono decostruire la propaganda mediatica e il trovare un porto sicuro di altre persone sparse in Italia sensibili al tema da mettere in rete e tante testimonianze e voci di addetti ai lavori con cui riflettere.

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Da dove cominciare?

Una testata giornalistica locale può essere d’aiuto, Mediterraneo Cronaca del giornalista palermitano Mauro Seminara (ex SkyTg24 oggi free lance), ora residente a Lampedusa che dal 2006 con il suo osservatorio sulle migrazioni copre mediaticamente gli sbarchi, anche quando non fanno notizia e l’analisi geopolitica del mediterraneo centrale, sempre più vulnerabile con la Tunisia post primavera araba e con la Libia in mano alle bande armate senza un governo centrale.

Se con Minniti o Salvini, non bastano colori politici a comprendere la recrudescenza sociale verso la crisi dei migranti e la criminalizzazione delle ONG, Salvatore Fachile, avvocato e socio ASGI (Associazione per gli studi giuridici sull’Immigrazione) è un buon incipit: non la politica, ma la magistratura può essere un agente del cambiamento.

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 Può servire una sentenza per dare una svolta a un percorso. È il caso di questi giorni, alla fine di agosto 2020, Fachile arriva alla storica sentenza Osman che condanna l’Italia a risarcire i 5 eritrei respinti in Libia nel 2009 che ritentarono l’accesso in Europa via terra attraversando il Sinai e Israele, che non concede diritto d’asilo, ma respinge i migranti in Rwanda e Uganda, un precedente dalla portata storica perché per la prima volta viene stabilito da un tribunale italiano che ha diritto ad un visto per chiedere asilo in Italia chi non è presente sul territorio italiano. Un visto che quindi supera le migrazioni forzate e i corridoi umanitari dove malgrado l’OIM e l’UNHCR rimangono ampli spettri di discrezionalità per l’accettazione dei richiedenti asilo e dove è comunque richiesta la presenza del migrante sul territorio.

Spiega Fachile che negli anni l’evoluzione legislativa del nostro Paese ha portato ha uno svuotamento dei contenuti della protezione umanitaria. Dopo la Turco Napolitano del 1998, il lento declino ha portato alla reintroduzione alla detenzione amministrativa dei migranti, un eredità rispolverata dall’epoca fascista, così il diritto di asilo è stato svuotato dall’interno : nascono così gli hotspot e i centri di rimpatrio, chi non è un richiedente asilo ma si dichiara un ‘migrante economico’ se è senza permesso di soggiorno viene bloccato e rimpatriato.

Con la detenzione amministrativa salta l’uguaglianza formale davanti alla legge e lo Stato ha reso evanescente le pari opportunità dei migranti derogando ogni responsabilità al permesso di soggiorno.

Il Modello Lampedusa fu un segnale importante: non si aspetta che i migranti arrivino in Italia come richiedenti asilo, si può intervenire per salvarli in acque internazionali senza prendere le impronte digitali se i migranti desiderino raggiungere un paese terzo, ma, nelle mani dell’Europa, l’Agenda della Migrazioni della Commissione Europea ha istituito il regolamento di Dublino dove il migrante lascia le impronte digitali nel primo paese europeo in cui arriva e da qui la crisi di un modello di accoglienza condiviso tra stati UE e un muro per i migranti che vedono l’Italia solo come un paese di transito e non di destinazione.

Con il 2015 e la morte di Gheddafi che porta collasso dello stato centrale libico, nascono enclave della gestione del potere in una nazione di 7 milioni di abitanti, quasi quanto quelli della Sicilia.

E’ così che abbiamo cominciato a rinunciare allo stato di diritto, a colpi di mancati accessi agli atti e alle interrogazioni parlamentari senza risposta.

Se, fino al 2016, le ONG sono il miglior alleato dello Stato Italiano nel coordinamento nella gestione di search and rescue con la guardia costiera, con il Ministro Minniti PD comincia la criminalizzazione delle ONG mentre la stampa del centro sinistra prende scarse posizioni contrarie culminando con la retorica dei ‘taxi del mare’ del Governo giallo-verde. Mentre avanza la retorica dei porti chiusi, dalle agenzie giornalistiche sparisce la cronaca, ci si limita a retwittare le dichiarazioni dei politici.

E scrivere su Twitter non corrisponde ad atti giuridicamente rilevanti, sono solo prese di posizione.

In verità le ONG di soccorso in mare sono molto attive anch’esse su twitter,  gli SOS vengono spesso lanciati da qui è un modo per coordinarsi tra loro e restare informati. Intanto la retorica ambigua sulla chiusura dei porti fa venire meno la solidarietà in mare delle navi mercantili che si prestano al soccorso: se devono perdere giorni o mesi prima di poter attraccare salvando vite umane preferiscono tirare dritto e pensare solo al loro carico di merce da consegnare.

Sul lato dell’associazionismo, Mediterranean Hope è l’unica associazione ad avere sede sull’isola: un progetto della Chiesa Valdese (ricordatevelo, potrebbe tornare utile per destinare l’8×1000), i valdesi gestiscono un osservatorio sulle migrazioni, il Forum Lampedusa Solidale e una biblioteca per bambini dell’isola con un doposcuola, perché Lampedusa abbia un approccio integrato e non a compartimenti stagni. smettere di lavorare su categorie ma su diritti, come pure la logica dei bandi europei ci ha abituato a ragionare per target categoriali.

Quanto ai soccorsi in mare? Valentina Brinis, advocacy officer per l’Italia della ONG spagnola Open Arms segnala che non ci sono più scafisti in mare, ai migranti sui barconi viene lasciato un cellulare con il numero di Alarm Phone, un numero verde di emergenza in supporto alle operazioni di salvataggio in mare.

Una delle tante logiche mutate negli anni, come le mancate risposte via radio della Guardia Costiera libica nei confronti delle ONG per le operazioni di search e rescue.

La Open Arms è una ONG di bagnini e marinai spagnola. L’equipaggio ha non più di una ventina di persone, compreso il cuoco, come è capitato a Lorenzo Leonetti del ristorante Granma di Roma, anche lui testimone di persone in ipotermia e manager di 18 giorni di razioni di cibo per 100-200 persone, dove l’obiettivo è di eliminare intolleranze e divieti religiosi organizzando cibo nutriente e durevole come riso e cous cous che dia sostentamento, anche all’equipaggio, solitamente vegetariano-vegano. Un equipaggio che, prima e dopo le missioni di soccorso viene gestito da team di psicologi.

Con il decreto sicurezza bis, non basta entrare in acque nazionali e avere un porto sicuro, è il ministro dell’interno ad autorizzare il porto, il che fa saltare le convenzioni internazionali.

Se le ONG battessero bandiera italiana sarebbe più facile, non si può negare un porto a una nave italiana, ma per le ONG il costi di affitto di imbarcazioni italiane ha logiche di mercato onerose. Riflette su questo Giorgia Linardi, portavoce della Sea Watch4, ONG che riceve finanziamenti anche dai fondi della Chiesa Protestante tedesca finanziano missioni di monitoraggio aereo al fianco della nave.

Tra le altre difficoltà, la Libia: la guardia costiera libica ha smesso di rispondere alle comunicazioni via radio e addirittura a sparare nella zona SAR libica dedica al soccorso, non avendo governo centrale, la Libia non risponde più nemmeno ai regolamenti della convenzione di Ginevra. Questo è uno dei prezzi da pagare, come per la Turchia di Erdogan dell’esternalizzazione della frontiera.

Visto dall’isola come si traduce tutto questo? Un prete e un sindaco hanno l’onere di guidare una comunità con i tanti limiti di competenze, spesso affidate in via esclusiva allo stato centrale. Don Carmelo ha messo a disposizione in comodato gratuito gli spazi della Casa della Fraternità per donne e bambini migranti, mentre nelle parole di un sindaco come Martello, ci si accorge di una certa solitudine culturale: delle sue miglia marine, di sbarchi e di emergenze, con quale altro comune italiano poter interloquire e confrontarsi? Un unicuum che, al di là di richieste al governo centrale crea network con Malta e Cipro, va in Francia a Calais o ad incontrare il sindaco di Marrakesh, lui che nel suo primo mandato dal 1993 al 1997 la crisi migratoria e la gestione dell’isola ha imparato a conoscerla da lontano.

La gestione delle migrazioni è competenza dello stato, quindi non c’è ritorno economico per la popolazione locale con figure professionali da inserire in questa enorme macchina.

Ma cosa si muove al di là del mare? Sono due le rotte: le piccole imbarcazioni dei tunisini che si muovono in autonomia nel mediterraneo, più sicuri di sé e che parlano italiano, da sempre scrutati con diffidenza dai siciliani per la loro spavalderia e dall’altra la grande onda della Libia.

 Donatella Rovera, figura professionale ai vertici dell’unità di crisi degli uffici di Londra di Amnesty e ricercatrice sul campo in Medio Oriente e Nord Africa nelle aree di conflitto traccia così i contorni: oggi in Libia in ogni famiglia c’è una persona che è stata rapita almeno una volta. Il loro riscatto serve per finanziare i viaggi della speranza. I migranti non vengono da tanto lontano, solitamente dai paesi vicini alla Libia: Mali, Costa d’Avorio, Chad, Sudan. La Libia è un paese razzista, il mito dei mercenari africani ha scatenato una caccia ai lavoratori neri, come quella dell’etnia Tawerga nella zona di Misurata.

La Libia, se commisurata alla situazione siriana è in un conflitto a bassa intensità. Ci sono anche migranti che in Libia arrivano per restare, come i nigeriani che qui hanno business commerciali e allo stesso modo c’è un esodo di libici verso la Tunisia in cerca di condizioni migliori. A loro volta, anche i libici emigrano, molti si trasferiscono in Tunisia per lavoro. I cosidetti lager libici in mano ai miliziani sono segreti e sono una piccola parte del tutto come i migranti che raggiungono le sponde europee, molti si fermano in Africa come tra l’altro consiglia loro l’ UNHCR e OIM offrono possibilità di tornare nel proprio paese, sottolineando la scarsa possibilità di andare in Europa. Nuovi stati stanno emergendo nella crisi, il Rwanda, dopo il genocidio degli anni ’90 è diventato un centro di accoglienza di rifugiati.

Intanto, a Lampedusa, nessun migrante che parte da qui vi fa più ritorno, se non il gruppo di sopravvissuti alle stragi di Lampedusa dell’ottobre 2013 per le commemorazioni. Oltrepassando via Roma, le case basse a volte arroccate e i branchi di cani randagi si arriva al cimitero dell’Isola c’è traccia di qualche migrante che qui ha trovato sepoltura.

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Dietro coltri di concetti ostici fatti di miglia marine, leggi sull’immigrazione, Lampedusa resta un cantiere e una riflessione. È l’uscio della porta d’Europa, come il nome del monumento di Mimmo Paladino ormai simbolo dell’isola, a due passi dal filo spinato che delimita la risicata pista dell’aeroporto.

Disintossicare la retorica deve essere un primo passo.

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Un commento

  1. […] Come bussola hanno fatto il resto le ricerche del sociologo Marco Omizzolo che si è occupato da vicino delle Agromafie in Agropontino dominato dalla migrazione della comunità Sikh che è un’ottima bussola sul tema, in particolare con la sua ricerca-azione come infiltrato tra i braccianti indiani nel libro Sotto Padrone. Uomini, Donne E Caporali Nell’agromafia Italiana e il contenitore del summer lab di Amnesty International sul tema (è il mio sencondo campo di attivazione di Amnesty dopo Lampedusa). […]

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