Quando il consumo critico non basta. A contrastare il caporalato come si fa?

The Harvest: la denuncia sulle condizioni dei braccianti in Italia - Terra  Nuova

Quando il consumo critico dei singoli non basta. Come si combattono le forme di caporalato (dall’agricoltura alle nuove forme di sfruttamento)? Come fanno frutta e verdura che – di base – dovrebbero essere il cibo pulito e giusto per eccellenza a creare una spirale vertiginosa di agromafie e sfruttamento? E quanto meccanismi come il caporalato agricolo sono simili ad altre situazioni nel mercato del lavoro?

Per capirlo sono andata in provincia di Latina in Agropontino. In principio furono documentari come The Harvest e  il reportage di Propaganda Live dedicato al caporalato in questa zona a spingermi a saperne di più: a differenza dei campi di pomodoro di Rosarno e Nardò enfatizzati da voci come quella dell’attivista Abubakar Soumahororo.

Come bussola hanno fatto il resto le ricerche del sociologo Marco Omizzolo che si è occupato da vicino delle Agromafie in Agropontino dominato dalla migrazione della comunità Sikh che è un’ottima bussola sul tema, in particolare con la sua ricerca-azione come infiltrato tra i braccianti indiani nel libro Sotto Padrone. Uomini, Donne E Caporali Nell’agromafia Italiana e il contenitore del summer lab di Amnesty International sul tema (è il mio sencondo campo di attivazione di Amnesty dopo Lampedusa).

L’Agropontino è uno scenario irreale. Ancora oggi si staglia sulla bonifica fascista di questi terreni un tempo paludosi sotto il livello dell’acqua che oggi serve per irrigare, una specie di Roma EUR in chiave agricola, una tabula rasa fatta di latifondi e serre a destra della carreggiata con il Circeo sullo sfondo, sull’altro verso si stende invece la boscaglia fitta del Parco nazionale del Circeo, così vicino al ghetto di Bella Farnia, residenza dei sikh che lavorano nei campi etichettati come untori al comparire della variante delta del covid. Un paesaggio che stride come il mare di plastica delle serre in Adalusia ad Almeria.

L’Agropontino è terra di 10.000 aziende agricole. È la prima economia italiana per produzione di kiwi, olive e uva che arriva nella grande distribuzione oltre a coltivazioni destinate in toto all’est europeo e al mercato dei fiori per l’esportazione in Olanda. Non si tratta di lavoro stagionale come per i pomodori, ma di un ciclo continuo redditizio tutto l’anno. Il grosso della raccolta viene fatto a mano.

È  uno scenario irreale. Ancora oggi si staglia sulla bonifica fascista di questi terreni un tempo paludosi sotto il livello dell’acqua che oggi serve per irrigare, una specie di Roma EUR in chiave agricola, una tabula rasa fatta di latifondi e serre a destra della carreggiata con il Circeo sullo sfondo, sull’altro verso si stende invece la boscaglia fitta del Parco nazionale del Circeo, così vicino al ghetto di Bella Farnia e Sabaudia, residenza dei sikh che lavorano nei campi etichettati come untori al comparire della variante delta del covid. Un paesaggio che stride come il mare di plastica delle serre in Adalusia ad Almeria.

E’ qui che Flai Cgil, sulla scorta del rapporto Agromafie e caporalato dell’Osservatorio Placido Rizzotto sensibilizza la comunità sikh con il sindacato di strada che fornisce anche mascherine anticovid e cappelli di paglia ai braccianti. In queste terre una affliazione sindacale può fare terra bruciata per il lavoro di un migrante ed è un lavoro che si costruisce con lentezza. Qui lavora anche Hardeep Kaur, mediatrice culturale originaria di una famiglia indiana del Punjub che aiuta i sikh a imparare l’italiano per non cadere nelle trappole dei caporali e dei cavilli dei contratti di lavoro.

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In Italia le agenzie del lavoro in somministrazione non si occupano dei lavoratori agricoli. A dettare i prezzi del mercato è la grande distribuzione e ogni politica di scoutistica dei supermercati ricade sulle aziende che tagliano ciò che si può tagliare, il costo del lavoro e spesso si lavora con il salario di piazza a 5 euro l’ora 7 giorni su 7, dove le ore di lavoro non sono le 6 ore e 30 stabilite nei contratti, ma anche 12.

L’indennita di disoccupazione spetta a lavoratori che raggiungono i almeno 102 giornate lavorative in due anni secondo la normativa, ma molti lavoratori ignari hanno giornate non conteggiate in regola in questo conto.  

Durante la pandemia, con lo smart working degli ispettori del lavoro, nelle aziende i controlli sono calati. Sulle lunghe carreggiate che portano ai campi coltivati, i mezzi di trasporto pubblici sono assenti, i lavoratori vanno a lavorare con biciclette su strade a scorrimento veloce e non mancano incidenti, altrimenti i caporali gestiscono trasporti dietro ricatto come avviene per gli alloggi.

Ma qualcosa si è evoluto nel tempo, dalle rivolte dei braccianti agricoli a Rosarno (2010), Nardò (2011) e Latina (2016). Il contrasto dello sfruttamento passa attraverso il diritto penale. La legge 29 ottobre 2016, n. 199   a riscrittura del reato di caporalato, non solo punisce il caporale che organizza le squadre di lavoro ed è spesso della stessa origine etnica dei lavoratori, ma viene punito, anche con la reclusione, il datore di lavoro.

In italia i lavoratori in agricoltura sono rumeni, marocchini, indiani, albanesi, polacchi, tunisini, bulgari e senegalesi. Il 34% è donna. Molti affluiscono dai lavori non qualificati in edilizia.

C’è chi ha il permesso di soggiorno ed è vincolato a un lavoro per restare in Italia e accetta qualsiasi condizione per essere ancorato all’Italia, a cui si aggiungono i richiedenti asilo che con la protezione umanitaria riescono a permanere in Italia anche se non strettamente occupati (è il 40%).

Ma ci sono anche gli italiani. Il 13 Luglio del 2015 Paola Clemente, bracciante di Andria, è morta in una campagna pugliese stroncata dalla fatica mentre raccoglieva l’uva per 27 euro al giorno ed è anche grazie alla sua morte che il caporalato è venuto a galla per incidere sul sistema della giurisprudenza.  

Quindi è un cambio della visione dell’applicazione della legge che cambia davvero le cose. Ma serve documentazione approfondita, agitazione culturale, osservatori e presidi sul territorio. Terra! è un buon sito per tenersi aggiornati sul tema.

Eppure questa non è la conclusione. E’ solo l’inizio. Il caporalato ai tempi del lavoro in somministrazione apre nuove forme di caporalato. Il focus di Amnesty International tira in ballo anche una riflessione sullo sfruttamento ai tempi di Amazon nei grandi hub logistici fuori città e il food delivery ormai tipico dei paesaggi urbani italiani

che fanno leva su nuove forme di lavoro con vuoti legislativi e ostacoli alla creazione dei classici contratti collettivi con lavoratori sindacalizzati consapevoli dei propri diritti.

Amazon offre salari di1500 euro all’ ingresso con lavori in somministrazione. A tempo indeterminato sono solo in 10.000 con assicurazione sanitaria e la cosidetta bluecard.

È un’azienda in cui è difficile entrare con un sindacato. In Italia solo a Piacenza c’è contratto collettivo nazionale del Commercio con iscrizione a Confcommercio che agevola un tavolo di trattativa, gli altri lavoratori hanno un contratto di logistica.

Amazon ha centri logistici fuori dalle città con lavoratori che dormono in macchina, non hanno alloggi a disposizione ai margini dei grandi hangar fuori città a volte con il beneplacito delle amministrazioni locali che vede in un capannone Amazon una risorsa per l’occupazione. Un salario consistente per molti precari anche se con pochi diritti, fatto salvo infatti che i lavoratori cambiano continuamente e ciò non permette sindacalizzazione, manca infatti un contratto unico nazionale.

L'interno di un magazzino di Amazon

E Amazon sta cambiando la mentalità dell’organizzazione della logistica, sempre più incline alla consegna in 24 ore che spinge le performance anche di Poste Italiane mentre i corrieri consegnatari in città non hanno nemmeno bagni pubblici in cui accedere durante i turni di lavoro. Una nuova tendenza è anche il fenomeno delle dark kitchen che una commistione tra Amazon e food delivery sta creando, ovvero, dei laboratori di ristorazione finalizzati alla consegna a domicilio che vuole superare la ristorazione su strada.

E’ in corso un tentativo globale di tassazione di Amazon al 15% e nuova realtà di network perché le collettività di lavoratori e sindacati stanno cercando di creare network trasversali.

E la gig economy del food delivery?  

Confcommercio e Confindustria sono rimpiazzate da Assodelivery che approfittano di un vuoto giurisprudenziale per un settore innovativo. I lavoratori usano una app che recluta studenti fuori sede con un lavoro da rider ‘smetto quando voglio’ è la uberization che però paga solo quando fai più kilometri per le consegne e premia in base a punteggi che permette di accedere ai turni più remunerati come quelli del weekend in una formula che sembra gamification e che nasconde una nuova forma di caporalato digitale fatto di appalti e subappalti delle app.

La storia si ripete, gli immigrati sono quelli che col tempo hanno rimpiazzato gli studenti in questo lavoro scarsamente remunerato.  Just,it ha una matrice di driver iraniani, Glovo di pakistani e bengalesi, Uber.it di africani.

Cosa può fare il consumatore per fare consumo critico? Forse boicottare tutto? Secondo Riccardo Mancuso – driver da 4 anni e rappresentante sindacale -meglio ancora sarebbe dominare fenomeni in evoluzione facendo pressione. In Italia Just.it ha contratti più etici degli altri e andrebbe preferita in quanto inquadra i lavoratori come subordinati e non come autonomi con maggiori tutele, Foodora ha chiuso i battenti perché non offriva contratti migliori. Qui non ci sono i sindacati confederali come CGIL, CISL e UIL, ma i sindacati di base come i Cobas a battersi in prima linea.

Nel mondo esistono coordinamenti internazionali dei riders. Si organizzano azioni eclatanti per sensibilizzare i consumatori mandando biglietti negli ordini, invitando a pagare mance in contanti invece che via app, rivoltando la app contro la multinazionale di riferimento anche alla luce della mappa dei decessi che non manca e non diminuisce.

C’è quindi da riflettere sui punti in comune di agricoltura, logistica e food delivery, così diversi per tipologie, così simili per falle e lacune tra diritti ai migranti, coscienza sul diritto sindacale e azioni concrete. Il summer lab di Amnesty International è quindi uno strumento prezioso per rifletterci su ed incontrare gli interlocutori strategici, tenetelo presente.

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