Anticafé. Dove si paga il wifi e tutto il resto è libero ma non chiamatelo coworking

Anticafé.

Una parola magica che ho imparato ad Amman frequentando i giovani alternativi della collina di Jabal Al Lweibdeh. La Giordania non è esattamente un posto che somigli alla Silicon Valley o a Hong Kong ma intorno a questa parola c’è un grande concept.

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Immaginate un luogo di condivisione dove pagate solo il tempo per la connessione wi fi e tutto il resto è gratuito. Ad Amman si chiama Jadal for knoledge and culture e qui trovate uso libero della cucina con thé e caffè libero, corsi come Yoga o Krav Maga, conferenze e cene sociali, concerti e poesie recitate dal vivo ma soprattutto un posto dove incontrare gente, tanti piccoli professionisti che fanno rete da chi crea collane a chi progetta siti web.

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Anticafé è anche una parola militante, se per café intendete Sturbucks, l’anticafé si oppone al concetto di consumazione a pagamento dove il tavolino va sgomberato in fretta perché un bar è una macchina per soldi e Sturbucks è anche luogo di gentrification: vetrinizza i centri urbani sempre più standardizzati e li riempie di globaltrotters, un non luogo.

Se luoghi come Bali sono diventati la mecca dei nomadi digitali che lavorano da remoto con una connessione internet su spiagge bianche e costo della vita ridotto  l’anticafé è il prototipo cittadino: si lavora via computer come sempre ma serve a rendere più sociali e aggregativi professioni solitarie come quella dell’ingegnere IT. Ad Amman ha creato aggregazione per tante piccole subculture, da una certa accettazione per gli LGBTQIA (così come si dice in Medio Oriente) alla contaminazione degli expats, i tanti giordani vissuti all’estero e che ritornano ad Amman con nuovi stili e conoscenze.

Non crediate somigli ad un centro sociale di italiana memoria, è tutto molto stiloso, designers e artisti lo popolano, ma non mancano spazi intellettuali, mi è anche capitato di seguirci una conferenza di due ore di un professore universitario che per due ore ha parlato di inquinamento e sostenibilità ambientale sulla prospettiva del sud est asiatico. Una tavola di 30 ragazze e ragazzi ad ascoltarlo e a fare domande: là dove non arriva il passaporto giordano, che spesso nega visti per l’estero, arriva la cultura.

Ho chiesto a Fadi Amireh, il fondatore di Jadal come avesse creato tutto questo. E mi si è aperto un mondo: Fadi a Yerevan in Armenia aveva scoperto il concept di Aeon, un analogo anticafé e da quello spunto è partito Jadal che oggi si finanzia anche con tessere forfettarie annuali e campagne di crownfunding come quella promossa su Idiegogo.

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Ho cominciato ad indagare e ho scoperto che l’idea di anticafé nasce in Russia nel 2012 quando a San Pietroburgo Ivan Mitin apre il primo Ziferblat (letteralmente quadrante degli orologi), un incubatore sociale fatto di wifi a pagamento (1 rublo al minuto) e tante attività dai giochi di ruolo, al té con biscotti, dai gruppi di lettura ai corsi di lingua e di danza. In Russia ne è seguito un vero e proprio boom di anticafè.

 

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In Occidente esiste qualcosa del genere? Qualcuno ha fiutato l’idea del business, ne è nata l’idea per un franchising dal tocco hipster, anticafe.ue per ora ha sedi nella Francia metropolitana (specie a Parigi) e anche a Roma, l’unico esempio in Italia. A prima vista potrebbe stupire che città come Milano e Torino abbiano ignorato il trend ma a ben vedere a Barcellona o Berlino non c’è nulla di tutto questo. Eppure in questa parte di mondo le criticità sono molte, dalla formula all you can stay sembra divenire un all you can eat con sostenibilità dei costi non proprio facile visto che gli affitti della media europea delle grandi città non aiuta. Sembra conveniente se si lavora in grandi gruppi, ma è difficile trovarne che lavorino insieme fuori da un ufficio e gli studenti universitari sono più incasellati nei canali tradizionali a loro dedicati.

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Giorni fa ero in giro per Roma per un meeting e mi sono ritagliata uno spazio per l’Anticafé, è in via Veio al quartiere San Giovanni. Beh, un’ora di connessione e prese di corrente per ricaricare lo smartphone per 4 euro (molto meno con le economie di scala delle ore successive), ma cosa vedo? Nulla di particolare rispetto ad una sala coworking tradizionale. Mi servo di thé, un paio di  biscotti e una fetta di panettone. Sono sola a lavorare al mio computer, intorno a me qualche americano che ciarla allegramente, un paio di ragazzi che parlano di una nuova linea editoriale e tanti solitari immersi tra auricolari e tablet. Scrivanie e la solita solitudine occidentale: un posto un po’ troppo normale, a Bologna potrebbe sembrare una biblioteca di quartiere. Io che quel giorno dormivo a Roma in un ostello mi sono chiesta, a cosa mi serve questo posto se posso lavorare dall’ostello con il wifi che c’è lì? Intorno a me qualche monade solitaria ma nessun contatto oltre ad un po’ di musica sottofondo con un retrò pop anni ’80.

A Roma hanno anche un manifesto, un po’ più decadentista dell’idea postsocialista che mi ero creata. Cito testualmente: “La vita non è più una cronologia rigida di passi da percorrere. Ora è accettabile: non finire il proprio percorso scolastico, sposarsi, trovare un lavoro per tutta la vita, avere una famiglia unita, avere come solo obiettivo quello di guadagnare soldi o aspettare di finire i propri giorni per vivere comodamente. Tutto questo ora sembra accettabile a condizione che abbiate trovato una casa. Un luogo dove si possa essere se stessi.Il mondo è cambiato. Nelle nostre città gli affitti sono diventati esorbitanti, la più ​​grande spesa del nostro budget mensile. E’ fattibile ma a condizione di pagare molto meno per utilizzare altri tipi di spazi. Il mondo è cambiato. Si può essere uno studente a 40 anni e imprenditore a 16. Puoi entrare in contatto online con chi vuoi su questa pianeta, ma paradossalmente è sempre più difficile incontrare qualcuno nella vita reale.”

Una modernità liquida un po’ sfigata più che cool: l’accento va sui soldi e sullo stare con sé stessi piuttosto che al fare comunità, gli anticafé dell’Est nascono come una seconda casa, un posto dove sostituire una comunità a un computer e cibo in schiscetta.

l’anticafé di Roma? Una manciata di scrivanie in legno chiaro e un wi fi forse non sono tutto se non li riempi di contenuto. Perché non funziona? Perché non c’è una base di lavoro di gente che da remoto ci lavora per davvero, una laurea in ingegneria informatica non è proprio inflazionata come una in scienze della comunicazione e manca quel senso social di condivisione: ad Amman la connessione wifi era un pretesto ma la realtà era la rete che si creava tra persone, molti liberi professionisti, molti inseriti nel settore privato, stipendi medi, medio bassi ma tanta voglia di fare partnership e crescere. Lavoro e anche demografia perché forse la working class ha un’eta media più giovane e il web ha una visione più anarchica e creativa.

Per riassumerlo in un’ immagine, l’Occidente è un selfie e questo strano oriente un po’ cyberpunk è una tavolata di amici e tutto funziona con network e selfbranding.

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Si parla tanto di wi fi e banda larga in Italia ma la strada è lunga. I nomadi digitali stranieri migreranno mai da queste parti? Date un’occhiata alle pagelle delle città su Nomadlist per farvi un’idea.

Di video sugli anticafé Youtube ne è pieno.

 

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