Atene di fine austerity.

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Se dico Grecia non pensate a Santorini su Instagram. Se dico Atene non pensate al Partenone. Tutto si è detto sulla crisi, il riassunto veloce lo trovate qui. 

Atene non è di moda. Atene è una presenza scomoda. Non è hipster non è Kreuzberg, Atene è brulla e da spiaggia libera, da spray nero sopra i muri.

Il 20 agosto 2018 la crisi viene ufficialmente dichiarata conclusa. Ma cosa resta?

Pochi sanno che ad Atene c’è una scultura di Fernando Botero che rappresenta Europa, la ninfa stuprata da Zeus che, ironia della sorte, ha un volto che negli ultimi anni molti ateniesi ironizzano per la sua somiglianza a Donald Trump. A custodire questo strano scherzo del destino è il foyer della Pyreus Bank.

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Me lo fa scoprire Niko, un trentenne che ha lavorato prima in banca ad Atene poi a Londra in finanza, fino a ritornarsene in Grecia in attesa di tempi migliori. Non si definisce disoccupato, ma più elegantemente ‘job free’ e, ricordandosi della sua laurea in Archeologia, porta in giro i turisti, anche se in nero, restituendo anche ad Atene il suo walking tour che spopola in mezza Europa ma qui non c’è e allora ci pensa lui racimolando 50 euro al giorno con le varie offerte da 5 euro.

Eppure, io manco ci volevo andare ad Atene, ma le cose accadono e a farle accadere sono le geometrie dei voli, è qua che sono atterrata con un low cost della Scoot da Singapore dopo il mio viaggio a tappe in Asia.

Atene non è ancora un hub come Francoforte o Parigi, ma i suoi voli diretti capillari in Europa e intriganti verso oriente stanno covando un nuovo indotto di traffico. E’ un aeroporto nuovo di zecca, con tanto di scavi archeologici in esposizione e il necessario per passare la notte qui, per raggiungere le isole, molti lo preferiscono al trasporto via mare addirittura.

Una cattedrale. Si, merito della “svendita” che ha tagliato i prezzi per gli investimenti, un ‘cigno nero’ che ha attirato parecchi: come il porto marittimo del Pireo colonizzato dai Cinesi e i Russi che investono acquistando casa ad Atene. Ed ecco che la logica del prezzo più basso muove il mondo.

Astronavi come l’aeroporto o l’infrastruttura della metropolitana ad Atene sono stati gli ultimi ammodernamenti pre-crisi (pretesto poi per la strumentalizzazione degli antieuropeisti), una città di graffiti, poca osmosi umana per gli affari e i commerci, classicamente bella ma non da start up. Piacerà ancora scoprire le rovine? Piacerà ai nuovi ricchi?

Quella osmosi che se vuoi spendere ti permette di farlo, ti crea occasioni e che qui non c’è, pigrizia organizzativa, povertà di relazione… cerco una SIM greca in aeroporto e non c’è, dovrò comprarla in centro, cerco l’abbonamento ai bus e non c’è nemmeno quello mentre sotto il sole di metà luglio 2018 c’è anche sciopero della metro che dall’aeroporto raggiunge direttamente Piazza Syntagma in pieno centro.

Il sole cocente di Atene svela strade piene di serrande abbassate, non è perché è sabato, domenica o lunedì, sono proprio definitivamente chiusi, farmacie comprese, sia di giorno che durante la movida. Non è un fascino delle macerie creativo stile Berlino della caduta del muro, non è Varsavia, austera e eternamente lacerata nel suo centro storico ma dignitoso.

Ad Atene c’è ancora effettivamente l’inconveniente di prelevare dal bancomat, giro tre sportelli prima di poter prendere 20 euro, che sono un taglio sempre estremamente ingombrante. Certo, il pretesto è servito per fare un passo da gigante nei pagamenti con carta di credito anche per piccole spese, non così piccole come tanto street food  come spanakopita e altre torte salate take away, costano 80, 90 centesimi e a volersi sedere in centro in un ristorante di Piazza Syntagma, difficilmente si spende più di 20 euro a persona, l’acqua da tavola però, vi sarà sempre offerta gratuitamente: quella di fontana è altamente potabile e buona da bere a differenza del resto della Grecia.

 

Cambiare soldi o avere il resto spesso diventa un impresa, si chiede pure di cambiare 10 o 20 euro, quanto alle 5 euro, di false ne girano tantissime, ne becco una da una macchinetta automatica, una 5 euro stampata alle men peggio senza nemmeno una striscia argentata.

Intanto Atene è invasa da frullati di frutta, perché il 4% di iva sulla frutta invece che del 10% dà spazio di manovra. Nei supermercati i Mars e i Bounty vengono svenduti a 30 centesimi l’uno mentre la frutta fresca è cara. E ai greci, padri della dieta mediterranea, non importa più di tanto il cibo salutare, anzi, parecchi fumano e sono in sovrappeso pur non avendo tanti vizi: niente animali domestici, niente birre e tanto trasporto pubblico. A livello di popolazione siamo simili, un’età media che avanza (43 anni contro i 45 degli italiani), pochi bambini che nascono, ma meno grandi anziani e immigrati.

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In giro adesivi anarchici, locandine di protesta, striscioni contro la chiusura domenicale dei negozi tra uno Zara e un Mark e Spencer e tanti outlet che non superano i 2-5 euro.

Poi la beffa, in un’Atene che si conta gli spiccioli, Starbucks il frappuccino lo vende comunque a 4,50 euro (ed è l’unico posto dove i turisti stranieri si accalcano ad ogni ora) e Adidas ha i suoi prezzi da 100 euro in su per le sue scarpe da ginnastica.

Guardatevi intorno, scoprirete qualche studente universitario fare l’elemosina con scarpe di ginnastica strappate che avranno ormai dieci anni. Sono in tanti a chiedere spiccioli, seduti a terra nelle strade dello struscio, tanto che, durante la finale dei mondiali ordino cibo per due al ristorante e porto via un vassoietto di involtini di foglie di vite da dare a un uomo con tre bambini piccoli a due passi dai negozi di souvenir e dal mercato delle pulci.

“Non immaginavo fossero messi così male”, mi dice un professore di chimica iraniano in giro da queste parti mentre cerchiamo l’ombra nella villa comunale.

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Ad Atene un senso di pigrizia e inerzia affoga l’iniziativa: poca osmosi dicevo, cerco qualcosa di interessante, dal quartiere anarchico di Ex Archia al quartiere gayfriendly di Gazi, sempre un alternarsi di graffiti e rovine greche.

E un pugno di giorni ateniesi passano così, una passeggiata al mattino, un museo nel picco di caldo dove non può mancare il Museo Archeologico Nazionale ma dove anche il museo sull’arte islamica con uno sguardo su Persia e Egitto e il museo ebraico hanno il loro perché.

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I pomeriggi accidiosi passano tra letture nel nei giardini e dormite in ostello tra ventilatori a tutto volume, un caldo esagerato e docce a monete (a trovarle in questa Atene dove anche i centesimi di rame hanno valore).

Vero è che visitare il Partenone vi costerà 30 euro e che gli scavi profondi delle metropolitane sono sempre un buon pretesto per tirare fuori dal terreno scavi archeologici che la sovrintendenza non riuscirebbe a finanziare…e allora qualche anfora nuova c’è in questa Atene in stand by, in attesa che il mondo, quello nuovo magari, quello dell’Oriente, riscopra l’arte classica. Che a volte forse è anche una condanna, come le piramidi in Egitto, che tutto venga sacrificato e non fatto per preservare, per conservare il passato e intaccare un pezzo di futuro, tanti filosofi, pochi tecnici.

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Questione di vicini di casa se l’Italia non è messa proprio così. Francia e Germania al di là delle Alpi invece che solitudine da vecchia Europa in mezzo alla ferita balcanica conta, nella speranza che crescita di paesi al di là dell’Egeo faccia da baricentro ad un nuovo crocevia. Facile? Il baricentro sembra essere poco più in là ad Istanbul nella sua contraddittoria supremazia che non fa esattamente canticchiare gli U2 di fine anni ’80 con l’Europa senza frontiere. Questo è il blues delle lente risalite.

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